divorzio

La fattispecie riguarda la domanda di un ex coniuge volta a ottenere un assegno divorzile. La Corte d’Appello di Venezia (peraltro confermando la decisione del Tribunale) aveva negato l’assegno di divorzio, ritenendo che non ci fossero squilibri patrimoniali rilevanti tra i coniugi. La Cassazione, con la sentenza n. 30537 del 27/11/2024, ha però accolto il ricorso presentato dalla ex moglie, sottolineando carenze istruttorie e motivazionali nelle sentenze di merito e imponendo un nuovo esame della fattispecie, secondo i principi giuridici della Suprema Corte.

Infatti la Corte di Cassazione ha più volte stabilito che l’assegno di divorzio deve garantire un riequilibrio delle disparità economiche tra i coniugi, tenendo conto del contributo fornito alla vita familiare. Questo criterio, già stabilito dalla Suprema Corte a Sezioni Unite nel 2018 e ribadito più volte successivamente, va oltre il concetto che l’assegno va parametrato al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, focalizzando invece gli effetti delle dinamiche patrimoniali durante il matrimonio.

Nel caso specifico, la ex moglie sosteneva di aver contribuito notevolmente alla formazione del patrimonio dell’ex marito, collaborando anche nella sua attività professionale: ma la sua richiesta di assegno di divorzio era stata respinta, sia in primo grado che in appello, perché i giudici di merito avevano giudicato sufficienti le risorse economiche della signora per garantirle l’autosufficienza e avevano anche respinto le sue richieste istruttorie.

La Corte di Cassazione ha riscontrato alcuni vizi nella sentenza della Corte d’Appello: soprattutto l’erronea applicazione dell’art. 5, sesto comma, della L. n. 898/1970. La valutazione dei giudici di merito si era infatti limitata a considerare le condizioni economiche attuali dei coniugi, senza esaminare il contributo complessivo fornito dalla moglie durante il matrimonio e il suo rilievo sul patrimonio familiare.

Un altro elemento che la Cassazione ha censurato riguarda la mancata ammissione di prove orali, richieste dall’ex moglie per dimostrare il suo contributo alla formazione del patrimonio dell’ex marito. La Corte d’Appello aveva valorizzato la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative tra coniugi: invece la Cassazione ha ritenuto che tale presunzione può essere superata con prove contrarie. Questo principio (che, in effetti, è consolidato in giurisprudenza), impone al giudice di valutare se le prestazioni lavorative tra coniugi siano state svolte per semplici motivi affettivi oppure nell’ambito di un rapporto che generi veri e propri diritti patrimoniali.

La sentenza della Corte d’Appello è stata giudicata carente anche per quanto riguarda le motivazioni. L’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. impone che il giudice esponga chiaramente in sentenza il percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione. Nella fattispecie, invece, la Corte d’Appello si era limitata a dichiarare esaustiva la consulenza tecnica svolta, senza rispondere alle osservazioni avanzate dalla difesa della ex moglie.